Le strumentazioni per l’archeologia del futuro al Laboratorio Bagolini – LaBAAF del Dipartimento di Lettere e Filosofia
di Matteo Largaiolli e Johnny GretterUfficio Stampa e Relazioni Esterne – 26 luglio 2022
Sotto il sole del Mediterraneo o in un’umida grotta delle Alpi con scalpelli, spazzole e picconi. Ma anche pistole ai raggi x, microscopi, scanner 3D. L’archeologia di oggi – e del futuro – unisce competenze diverse, dall’antropologia all’ingegneria dei materiali, per riuscire a descrivere il passato in modi sempre più precisi. Gli archeologi e le archeologhe come avventurieri col cappello da Indiana Jones sono un’immagine di ieri: ora indossano anche il camice da laboratorio.
Chi entra nel Laboratorio Bagolini, non pensa subito all’archeologia. Si vedono strumenti di ultima generazione, come Sem e spettroscopi, macchine sofisticate per analizzare la composizione di elementi, materiali, stati di conservazione. Ma anche strumentazioni che integrano tecniche più tradizionali, come i microscopi ottici e la fotografia.
Il Laboratorio Bagolini Archeologia, Archeometria, Fotografia è un caso quasi unico in Italia e in Europa. «È uno dei pochi laboratori ad altissima tecnologia afferente a un Dipartimento di Lettere e Filosofia. Di solito si trovano in dipartimenti scientifici o in istituzioni come il CNR», spiega Annaluisa Pedrotti, responsabile del laboratorio. «È anche un esempio della strada che sta prendendo l’archeologia, una disciplina che dialoga sempre di più con altri campi di ricerca: geoarcheologia, archeologia del paesaggio, antropologia, botanica, archeometria, e naturalmente fisica e ingegneria. Certo, a volte dobbiamo comunque fare i conti con un problema endemico della ricerca come i finanziamenti, difficili da ottenere soprattutto in campo umanistico».
Gli esempi di applicazione sono moltissimi. «Ogni strumento è adatto per uno scopo», descrive l’archeologo e esperto di tecnologia litica Fabio Santaniello, mentre apre una scatola che contiene una specie di pistola laser. «Con uno spettrometro a infrarosso abbiamo scoperto che la selce veniva scaldata prima di essere lavorata. Grazie alle tecniche e metodologie di indagine sui materiali, così, possiamo capire i processi tecnici e le competenze umane che stanno dietro ad un reperto archeologico». Anche Assia Kysnu Ingoglia, archeologa e dottoranda dell’Università di Cordoba, fa notare il legame tra la tecnologia e lo studio della cultura materiale: «Le ricostruzioni 3D, ad esempio, aiutano lo studio degli aspetti decorativi e produttivi dei resti ceramici e sono utili a fini didattici ed espositivi».
Nel laboratorio si vive nel concreto l’interdisciplinarità. «È uno spazio in cui convergono competenze umanistiche, storiche, archeologiche e tecnologico-scientifiche, quantitative, chimiche e fisiche» conferma Stefano Gialanella, professore di scienza e tecnologia dei materiali del Dipartimento di Ingegneria industriale, che con il Dipartimento di Fisica è uno dei partner del laboratorio: un esempio concreto di collaborazione tra il polo di città e il polo di collina. «Il laboratorio è anche uno spazio che arricchisce l’attività didattica tradizionale», ricorda Gialanella. L’interazione tra ricerca umanistica e scientifica promuove la creazione di nuove professionalità, in tutti i curricula di studio.
«L’archeometria si basa proprio su questo: studiare reperti usando modalità che sono più tipiche delle scienze dure», spiega ancora Gialanella. «Si adattano tecniche di indagine di materiali, metodologia anche molto avanzate, a oggetti unici e delicati per analisi non distruttive». Gli strumenti infatti possono essere usati nella sede del laboratorio, ma devono anche rispondere alle esigenze dell’archeologia. Molte apparecchiature sono mobili e possono essere usate sul campo, per studiare gli insediamenti o per rilievi del paesaggio, come con i droni. E possono anche essere portati in un museo: «Anche solo movimentare un oggetto lo metterebbe a rischio. Andare direttamente dal reperto e usare mezzi non invasivi limita i danni di un eventuale trasporto e garantisce la conservazione», conclude Gialanella.
Proprio per la sua unicità il laboratorio è un punto di riferimento anche per l’esterno. Mette a disposizione strumenti e professionalità per progetti nazionali e internazionali. «Recentemente, con il Castello del Buonconsiglio abbiamo studiato la Tabula Clesiana, uno dei reperti di età romana più importanti del territorio trentino» racconta Santaniello. «In questo caso è stato il laboratorio che è andato in un museo, senza spostare la Tabula. In base a diverse analisi, abbiamo scoperto che la lamina in bronzo, che costituisce la Tabula, sulla superficie è stata rivestita con piombo e stagno prima dell’incisione. La nostra ipotesi è che in tal modo si voleva rendere più chiara la lettura di un testo che doveva essere esposto pubblicamente».
Il Laboratorio è dedicato a Bernardino Bagolini, professore di Paletnologia all’Università di Trento dal 1987 al 1995. È articolato in più sezioni, che integrano il rilievo sul campo: archeometria, fotografia, biblioteca. Le attività del laboratorio coprono un arco di tempo molto ampio, dal Paleolitico all’età medievale fino al diciottesimo secolo. Le collaborazioni esterne si traducono anche in attività di formazione e aggiornamento, scuole di specializzazione, scuole estive e invernali pensate non solo per studiosi e studenti, ma anche per tecnici e per la formazione del personale.